E così anche quest’anno ho detto fino all’ultimo che non ci sarei andata, e poi ci sono cascata egualmente e quindi sono andata a visitare il Salone del Libro. Ogni anno lo patisco più dell’anno precedente, ogni anno trovo sempre meno ciò che mi interessa, ogni anno mi arrabbio per una manifestazione in cui la città investe e che nonostante ciò strozza ancora gli editori con il costo dello stand così come impone ai visitatori biglietti di ingresso dai costi inauditi.
Eppure ci sono cascata anche stavolta – sebbene stavolta, rispetto alle precedenti, mi sia fatta un po’ più furba.
Intanto Minerva si veste comoda, perché sa che lì si cammina parecchio: povere le donne che vede lì sofferenti su tacchi. Inoltre rifugge la folla, quindi al Salone ci va – potendo – nei giorni feriali: lei ama girare, guardare con calma, scambiare parole con editori – se un volume o una collana la interessa – o anche solo una battuta con i ragazzi agli stand – pur di editori che non la interessano – perché pensa che ciò possa essere di conforto per chi passa ore in piedi in 8 mq.
E stavolta ho adottato un’ulteriore strategia: niente soldi se non quelli del biglietto di ingresso – così da difendermi da me stessa e dal sicuro acquisto compulsivo di volumi che rischierei di non leggere mai.
Lunedì pomeriggio. Si stanno concludendo le votazioni amministrative, e passeggio per un salone che man mano diviene sempre più godibile. E’ l’ultimo giorno della fiera, così come arriva da lontano l’eco degli exit poll e poi, successivamente, cominciano le prime proiezioni. Gli stand sono come un mercato, dal quale rifuggo i grandi editori – li salto proprio a piè pari – così come non mi spiego presentazioni che nulla c’entrano con la carta stampata o anche il multimediale: che ci fanno scuole che insegnano tecniche di memorizzazione e lettura veloce (“no, grazie, io sono per la lentezza”) o esposizioni di casse e amplificatori (“no, grazie, preferisco il silenzio”)?
Mi butto sui piccoli editori – quelli che neanche sai esistano, quelli i cui cataloghi non raggiungeranno mai le librerie, quelli presso i quali pubblicano a volte amici ricercatori che hanno amici che vi lavorano dentro, quelli che su internet trovi casualmente se fai incaute ricerche su google con parole-chiave involontariamente astruse. Queste le strategie per trovare i piccoli che ci credono, perché non certo i piccoli vi guadagnano chissà quanto e pertanto possono pensare di farlo per profitto.
Ecco, questi sono coloro che io amo. Quelli che portano avanti certi discorsi marginali, controculturali, riflessivi sperando ancora di farli arrivare a un pubblico di massa. Quelli che prediligono la qualità dei contenuti e della narrazione al ‘mercato’.
Sono sempre meno presenti, quelli che io amo. Di anno in anno ce la fanno sempre meno. Dov’è finita la Meltemi? E la mia adorata Eleuthera, che anni fa – quando ne raggiunsi lo stand dopo una giornata di camminata in lungo e in largo per l’area espositiva – esclamai esausta “casa!” e mi venne offerto di sedere e riposare tra loro, pur se non ci si conosceva?
Nonostante ciò, piccole perle si colgono nel luoghi più reconditi, e anche stavolta qualcosa di interessante l’ho trovato. Ed essendo il blog mio mi permetto un piccolo spot per ciò che ho apprezzato, e condivido con voi il mio sostegno ad alcune iniziative:
– le
Edizioni Clandestine, che saranno pure piccole come fatturato ma sono ben conosciute da tutto un giro controculturale che per fortuna in questo paese alla deriva ancora esiste – se non conoscete ancora le loro pubblicazioni, vi consiglio di dare un’occhiata al catalogo sul sito
–
La vita felice è un editore che ho appena scoperto, cui va il merito, a mio avviso, non solo di un nome che mi vede in assoluta sintonia, ma anche dell’impegno di ripubblicare progressivamente tutto Thoreau; io mi sono già segnata e scelta come prossimo acquisto online
Vita senza principi 😉
–
Beccogiallo si presenta come un insieme di non professionisti, ma appassionati della “narrazione, unita al piacere (un po’ perverso e
ostinato, di questi tempi) di raccontare la realtà che ci circonda”: impegnatissimi nell’anasi della realtà contemporanea, il loro catalogo è per chi, soprattutto tra i giovani, vuole informarsi sulle figure e i passaggi-chiave della società non solo italiana degli ultimi decenni, anche con un punto di vista estremamente critico, sempre sulla soglia dei grandi interrogativi dell’esistenza (per es. in merito alla violenza, alla religione, alle relazioni ecc.)
– sulla falsariga dell’attenzione alle questioni politiche dal punto di vista meno di grandi eventi/nomi e più di esseri umani comuni e comunità, è infine la mia scoperta più felice in questo Salone le edizioni partenopee di
Ad est dell’equatore (sottotitolo: Gli editori del retrobottega). Un gruppo di persone che si presenta con le parole che seguono che mi hanno incantato, così come il loro futuro progetto, “Le Bestie”, per il sostegno dal basso – quasi in autoproduzione – alla produzione narrativa (progetto che nascerà intorno all’autunno e del quale quindi vi racconterò quando sarà il momento):
Ad est dell’equatore non è un luogo, e
nemmeno un’utopia. È un puntino, che rosseggia lontano all’orizzonte,
verso il quale abbiamo deciso di dirigerci. È un viaggio che abbiamo
iniziato nel 2008, carichi di passione, entusiasmo,
curiosità, progetti. È questo il nostro modo di muoverci ed è così che
intendiamo fare libri: non rinunciando a nessuna di queste componenti. I
libri sono la nostra scommessa: farli, oggi, è difficile, ma noi
crediamo ancora che possano inventare il migliore dei mondi
possibili. Che possano raccontare il bello, ma soprattutto
possano insinuare il dubbio, insidiare il lato oscuro delle cose,
svelare inganni, informare e controinformare. Il nostro viaggio è
cominciato nel retro di una sartoria, a Ponticelli, un’area periferica
di Napoli circondata da strade senza curve e palazzi tutti uguali. Da
qui abbiamo mosso i primi passi e, continuando a viaggiare, abbiamo dato
vita ad un catalogo che oggi comprende una collana di narrativa, “I
virus”, una collana di scrittura altra, “Liquid” , una collana che
raccoglie la letteratura che ferisce, “Ni Mu”, e una nuova collana,
quella di saggistica, “I Barbari”.
Non ci fermiamo. Continuiamo a pensare
libri, intrecciare persone e storie, immaginare mondi. In pochi mesi
siamo riusciti a coinvolgere nel viaggio i nuovi autori della scena
campana: Angelo Petrella, Riccardo Brun, Maurizio De Giovanni, Luigi
Pingitore, Andrea Santojanni, Luca Maiolino, Valerio Lucarelli, Carmen
Pellegrino, Mario Gelardi. Ma anche attori (Giuseppe Miale di Mauro,
Adriano Pantaleo). Fotografi (Mario Spada). Musicisti (A67). È con tutti
loro che ci muoviamo.
Ed è con loro che mi muovo io, sognando un giorno un grande salone dei piccoli editori e della autoproduzioni in qualche vecchio hangar o in qualche area dismessa. Perché se ho già riserve rispetto a questi grandi Saloni e a chi li organizza, parimenti trovo tremendo un concetto di occupazione di suolo pubblico a pagamento che uccide l’espressione dei piccoli. Di quelli che ci mettono il cuore in ciò che fanno. Ovvero tutti noi.
E’ possibile pensare a una rete per il sostegno di questi discorsi, queste pratiche, questi soggetti (nelle parole dei quali li sentiamo già ‘amici’ dei quali essere complici)? Voi che dite?