Festival dei Popoli /2 – Vol Spécial
15 Novembre 2011
Ancora folgorata dalla visione ieri sera di Cave of Forgotten Dreams di Werner Herzog – che meriterà vero e proprio saggio a parte vista la quantità di finestre che ha aperto nella mia mente e di ricordi/rimandi all’intera sua opera cinematografica – stamattina ho deciso di approfittare della visione gratuita di alcuni documentari che altrimenti perderei (dato che il festival si svolge su due sale) presso la Mediateca della Regione Toscana. E ho già deciso il film che secondo me deve vincere la sezione lungometraggi.
VOL SPÉCIAL di Fernand Melgar è girato in un campo di detenzione temporanea a Ginevra, dove richiedenti asilo e sans-papiers sono imprigionati, senza processo né condanna, in attesa d’espulsione dal territorio elvetico. Nel tempo del ‘soggiorno’, tra il personale e i detenuti – in realtà persone normalissime che nella maggior parte dei casi sono puramente penalizzate dalla mancanza di una carta di permesse a fronte di anni di soggiorno, lavoro, tasse pagate in Svizzera – nascono rapporti di amicizia, di rispetto, di tentativo di vivere la situazione col massimo della normalità quando entrambi esperiescono, a livello micro, decisioni formulate da altri e da un mondo fuori, altro dalla realtà della vita concreta e delle storie individuali. Fino all’annuncio dell’espulsione: coloro che rifiutano di partire verranno ammanettati, legati e issati a forza su di un aereo (vol spécial) per quello che è il metodo finale più violento di rigetto, che talvolta provoca addirittura la morte dell’espulso.
Un film eccezionale, densissimo di informazioni/livelli/chiavi di lettura, che provoca su un livello ‘semplice’ (quello generale del diritto alla libertà, al movimento, alla possibilità di scegliere delle proprie vite anziché essere burattini in mani altrui che ti possono inviare in un paese in cui non hai mai vissuto perché sei privo d’un pezzo di carta così come ucciso in quel paese perché esponente di una minoranza), ben documentato sull’argomento, che mette in scena l’umanità di ciascuno dei protagonisti – tutti sullo stesso fronte, indipendentemente dai ruoli – rispetto all’asetticità della normativa che pur gestisce le loro esistenze (le decisioni dei giudici sui detenuti, ma anche i frequenti incontri con la psicologa per l’equipe che gestisce il centro).
Una narrazione corale che oscilla tra il registro drammatico e la pura cronachistica, un lavoro ‘classico’ di inquadrature fisse e piani sequenza costruiti in camera a mano, una fotografia che riprende fedelmente la luce naturale, per un’azione che si svolge in gran parte nell’inverno – dove lo scintillare gelido della neve amplifica ulteriormente la situazione di dislocazione e prigionia esperita dai soggetti del documentario, per lo più africani e appartenenti a minoranze culturali kosovare. Un film che mi ha affascinato, appassionato e posto così tante domande sul suo modo di lavorare, che domattina farò di tutto per una chiacchierata diretta col regista 🙂