CRISTINA BALMA-TIVOLA

KRI "muovere [k] liberamente [ri]" | STI "stare [s] in moto [ti]" | NA "effetto [ā] del soffio vitale delle acque [n]"

El poder… ¡Que se joda!

 

In queste settimane mi trovo per un piccolo lavoro di ricerca a Barcellona. In questa città ho molti amici, che ogni volta che vi passo cerco di incontrare. L’altro giorno, all’uscita dall’ufficio, ho chiamato un’amica per proporle di vederci e pranzare insieme, e così è stato – con gli ovvi aggiornamenti reciproci dei mesi in cui non ci siamo viste.

Dopo un pomeriggio passato nella conversazione più affettuosa – le donne buone, quando si trovano tra loro, sanno riportarsi reciprocamente in equilibrio con la parola meglio di qualsiasi droga o terapia – mi dice che vuole andare alla presentazione del libro di una sua collega, che vi saranno tutte loro e che vorrebbe davvero che io le conoscessi.

Non avendo programmi l’accompagno volentieri, per cui ci mettiamo in marcia verso una delle librerie più chic della città, situata nella via dei negozi d’abbigliamento delle marche più altisonanti e costose della moda, e andiamo a sentire di questa raccolta di microbiografie sulle prostitute barcellonesi.
Perché la mia amica – come le donne che di lì a poco conoscerò – è una prostituta, nonché attivista per i diritti delle stesse, e in particolare per il riconoscimento di tal lavoro come qualsiasi altro, ragiun per cui si batte parimenti per ottenerne la legalizzazione.

 

La presentazione sviscera i contenuti del libro, e vengo in tal modo a sapere molte cose interessanti sulla scelta di dedicarsi a questa professione, sul modo in cui si gestiscono logisticamente, fisicamente e psicologicamente, sul sistema valoriale cui si riferiscono queste donne (di fatto, in gran parte coincidente con il mio) e pure – cosa che mi fa sorridere perché su questo io sono un’imbranata totale invece nel mio lavoro – rispetto all’autopromozione, al rapporto col cliente, e sostanzialmente al marketing che le vede “imprenditrici di se stesse”.
A fine dibattito che ne segue, la mia amica ci introduce reciprocamente, e vengo invitata a bere un bicchiere con loro in qualche dehor della zona. Dopo un po’ di camminata, e scartando man mano i vari lussuosissimi locali della via in cui loro sono state, sì, ma con i loro clienti che pagavano per loro, ne troviamo uno defilato e semplice, e decidiamo che fa per noi. Di fatto, queste donne curate, intense e consapevoli sono insospettabili, e vivono modestamente malgrado economicamente problemi non ne abbiano, e possano vantare (ma non lo fanno così come non lo sfruttano) ogni genere di aggancio con importanti e potenti personaggi locali.

 

Dopo un po’ il gruppo si disperde, e rimango a cenare con la mia amica e due di loro. Una, mia coetanea, comincia a chiedermi di me. Le racconto, e man mano che parliamo viene fuori la mia vita privata e il fracaso – ovvero l’insuccesso, il fallimento – di tante mie relazioni.
Di fatto, io so benissimo che il nocciolo della questione è che io – non provando più il bisogno di un uomo che mi appoggi e sostenga nella vita (quella fase l’ho superata qualche hanno fa quando uno di questi mi distrusse per l’ennesima e ultima volta, pur concedendogli io il replay qualche mese fa nella speranza, frustrata, che vi fosse stato in lui qualche cambiamento in positivo nel frattempo) – non sono in alcun modo incline a mortificare o falsificare pezzi di me per godere della sua presenza.
“Sì, nena, il problema è questo: quasi tutti gli uomini, anche quelli più acculturati, gli intellettuali, i più riflessivi, e anche quelli che apparentemente si battono pubblicamente per la libertà di tutti gli esseri umani, la parità, il rispetto tra i sessi, prima o poi ci cascano…”.
La guardo con curiosità: mi ha già inquadrata e ha già inquadrato chi frequento. E lei continua: “Prima o poi, anche quelli che ti parlano più di pari diritti tra uomini e donne, di uguaglianza, di libertà, anche quelli che dicono di ‘ammirare le donne’ – cosa che poi è stupida perché ciascuno fa semplicemente del proprio meglio per risolversi in qualche modo la vita, non c’è da ammirare l’uno o l’altro perché fa magari mille cose per sopravvivere, come le donne sono costrette da questa società patriarcale a fare anche se sceglierebbero magari altro, se avessero un po’ più di vero sostegno da parte della controparte maschile – viene fuori che hanno questa cosa del potere che gli rode, che non l’hanno affatto superata, anche se a parole sbandierano in giro di sì…”.
Continuo a guardarla e ad ascoltare il suo racconto. Mi stanno girando in contemporanea le parole di Emma Goldman nella testa, e il suo scagliarsi con tutte le proprie forze contro quell’istinto maschile proprio di tantissimi uomini che vedono dio in se stessi.
“E noi donne siamo stupide, perché se da una parte dimostriamo d’essere forti, indipendenti, d’esserci guadagnate la nostra parità, dall’altra, quando desideriamo un uomo, pur se abbiamo già ottenuto tutto ciò che ci serve da sole, cosa facciamo? Cerchiamo l’intellettuale. Cerchiamo il leader. Cerchiamo quella cosa che ci dà la sensazione che saremo accudite e protette – ovvero cerchiamo persone che abbiano, o credano d’avere, un qualche potere o controllo della situazione. Cerchiamo quelli che apparentemente sono di successo. I vincenti. Pensando che il potere, l’essere riconosciuti come leader, o l’essere degli stimati intellettuali rispetto ai quali stare a bocca aperta, coincida con la garanzia di riconoscimento da parte loro che saremo loro pari. Che ci meritiamo, in virtù degli sforzi fatti per la nostra indipendenza, per la nostra dignità, per il poter ofrire loro rapporti liberi da vincoli economici, il loro rispetto e il loro amore. E no, non può essere così: perché costoro, che il più delle volte negheranno – perché non in linea con i principi per cui si battono pubblicamente – quel loro istinto, quella loro bramosia di potere e controllo sugli altri, in particolare sulle donne che stanno loro a fianco, nella realtà invece ce l’hanno profondamente radicata dentro di sé, e li governa e controlla, tirando a estendere quel controllo a chi li circonda facendolo sentire bisognoso, e di qui dipendente da loro”.

 

Caspita, questa donna ha dipinto esattamente l’ultimo anno della mia vita, la mia impotenza e le relative profonde sofferenze e frustrazioni che ne sono seguite. Tendo l’orecchio e apro gli occhi, chiedendomi dove mi porteranno le sue parole.
“Allora quando io vedo che sono così dico loro che è vero, che mi stanno proteggendo e che ho bisogno di loro e dei loro soldi. Dò loro il mio tempo, la mia cura in tanti piccoli dettagli per renderli felici, il mio ascolto delle loro parole e il mio corpo. In cambio di soldi. In un rapporto chiaro e onesto, dove l’amore è una chiara finzione che entrambi sappiamo essere tale. Questo è essere oneste!”.

 

Ecco dove è stato il mio errore. Anche io ero onesta, però amavo sul serio, non era una finzione. Io facevo tutto per amore – con un uomo come quello che lei ha dipinto e pur non avendone io bisogno. Aspettandomi che lui se ne rendesse conto, che abiurasse quell’istinto nefando, nocivo e negato a parole (ma non nei fatti) di potere, che mettesse pubblico e privato in rapporto di continuità, che mi amasse in questo modo – col riconoscimento d’essere sua pari. E così tante volte invece mi è stato negato! Così tante volte mi è stato detto “tu fai psicologia, io filosofia” (perché la psicologia è inferiore alla filosofia, ergo io dovevo esercitare quella nel momento in cui ragionavo in modo diverso dal suo), “tu spieghi con la razionalità, io con le immagini mentali sotto l’uso di sostanze” (a casa mia ciò si chiama dogmatismo, e non fa onore all’integralista che lo promuove, i cui pregiudizi non sono consapevolezza di come stia la realtà, ma potenziali errori dai quali cautelarsi con l’assoluto rifiuto e mancanza d’ascolto di qualsiasi parola potenzialmente foriera di dubbio), per poi però aggiungere “io sono un razionalista, uno logico” e sottintendere in tal modo che io, interpretando la medesima realtà diversamente, sarei irrazionale e illogica (eh, le donne, contraddistinte dall’afferenza all’emotività, alla natura, all’animalità/ferinità, al corpo e al sangue, sud rispetto al nord, luna rispetto al sole, e tutte le varie dicotomie dell’immaginario patriarcale!).
Ecco perché per mesi ho sentito che – al di là di quanta stima apparente mi venisse tributata – sempre c’era il tarlo di cercare di provocare in me una sensazione di inferiorità. E di dipendenza – ah, tutte le volte che mi ha rinfacciato il mio non aver bisogno di lui!

 

Ma mentre mi girano questi pensieri nella testa e vedo finalmente un po’ di chiarezza, questa donna dalle fattezze da matrona continua: “Vedi, abbiamo tutti bisogno di cure. Solo che con gli uomini così si danno a pagamento, perché questi, quando stanno ancora dentro quest’ossessione per il potere e non pensano neanche di uscirne perché così è più facile, si sentono e sono privilegiati e riconosciuti dalla società che li sostiene e cui loro stessi contribuiscono a far sì che rimanga ciò che è – e sono la stragrande maggioranza degli uomini – sono perduti. E sciagurati, perché finché incontrano prostitute almeno hanno un rapporto sincero, con un gioco delle parti onesto, ma se incontrano donne cattive che alimentano loro questo modo di percepirsi, che si fanno mantenere senza dare nulla in cambio se non la finzione o la promessa della propria futura presenza, se stanno per conto proprio ma convincendoli che così facendo stanno rispettando la loro libertà e indipendenza, se praticamente si dichiarano al loro fianco, ma poi non ci sono e non ci saranno, sono perduti per sempre: per sempre staranno in quella presunzione di propria divinità e leadership rispetto alle quali devono ruotare tutti, pur se ciò non ha alcun riscontro reale, sempre vivranno senza neanche rendersene conto rapporti interessati e opportunisti, e saranno per sempre tormentati, fuori sincrono rispetto alle altre persone che hanno intorno”.

Già. Questo l’avevo visto anche io. Per questo ci ho provato tanto. Ma no, non si può salvare dal proprio medesimo tormento chi se la vive così. Anche se lo vedi soffrire. Perché per venirne fuori bisogna superare con energia e coraggio le proprie paure più profonde, accettando che il salto nel buio si rischi di rivelare un salto nel vuoto. E quanti di noi sono in grado di fare una cosa del genere?

“Tutti abbiamo bisogno di cure. Di essere protetti. Di essere amati…” – e io ripenso alle parole di Emma Goldman, a quando diceva che il primo diritto per cui una donna doveva combattere era quello di amare ed essere amata – “Ma quando vuoi un uomo al tuo fianco, prendine uno che non sia al centro dell’attenzione. Uno cui il potere non interessi proprio. Uno che non ti dia neanche per un istante, neanche per una parola, il sospetto che in lui ci sia il tarlo del potere come desiderio, necessità o istinto. Uno che abbia riflettuto e superato tutto questo perché disgustato quando lo vedeva in altri uomini, o uno che non l’abbia neanche mai preso in considerazione. Uno che quindi è coraggioso, e felice di starti a fianco per quanto possa essere impegnativo, o prevedere che faccia altri ruoli che nella nostra società non sono da maschi, o sono visto come propri dei ‘deboli’. Quello è l’uomo da amare. Anche se sono rarissimi, sono quelli gli uomini che – tra gli uomini – libereranno anche gli altri dando l’esempio, e staranno in relazioni felici con noi donne che li apprezziamo, rispettiamo e amiamo proprio perché sono così lontani da quell’ossessione nefanda per il potere che caratterizza la maggioranza di loro. Mio marito è così e io lo amo, lo amo profondamente come non amerei e non vorrei nessun altro!”.

 

Et voilà: mesi di malesseri e somatizzazioni mi cominciano a venire curati dalle parole accorate e affettuose di una prostituta in una notte afosa di Barcellona, tra vino, ventagli costantemente agitati, urla e sonore risate, labbra tumide di rossetti carnosi, seni abbondanti fasciati in vestiti aderenti.
E mentre io sto lì a rimettere insieme i pezzi della mia anima con il collante della complicità delle donne buone – dichiarate, oneste prostitute – lei si prende qualche secondo, ordina un altro bicchiere di vino bianco, e con gli occhi lucidi e un’espressione tra l’amarezza e la rabbia conclude: “El poder… ¡Que se joda!”.