Amo le persone che mi raccontano storie – ma non storie inventate, non favole, non menzogne.
Storie come aneddoti, come ricordi, come momenti di vita.
Il piacere che mi dà ascoltarle è pari alla condivisione del sesso più intimo e complice, o a quella del pranzo più saporito e gustoso.
Minerva di storie ne ha tantissime. Ha quelle personali di lutti, malattie, violenze, e poi inquietudini, pacificazioni e nuove prospettive da lì originatesi.
Ha quelle abituali della vita con studio, lavoro, relazioni – che, pur se solo sue (e non potrebbe essere altrimenti: ognuno declina a modo proprio i medesimi ‘riti di passaggio’), lei vede d’una noia intollerabile e pertanto, appena può, fugge.
Infine ha quelle che derivano dai suoi interessi letterari (ovvero i racconti di altre persone vissute prima di lei), e dai viaggi e dagli incontri che le sono accaduti per strada.
E ama raccontarle – queste storie – non per autocelebrazione, ma per dare accesso ad altre persone a tutta la ricchezza che ha avuto la grande fortuna di provare (e che importa se siano state cose felici o dolorose, sono comunque vita!).
Il mio è un atto d’amore con la speranza di far provare così tanto desiderio in chi le ascolti che magari questi si deciderà a sua volta a vivere in prima persona – con tutta la ricchezza, la pienezza, l’intensità che ne può derivare!
Ma mi è stato detto: “Hai idea di quanto sia doloroso aver avuto una vita in cui non ci sia stato nulla di così intenso, di così forte, di così destabilizzante con cui aver fatto i conti?”.
E da un altro: “Io non ho mai sofferto, non so cosa sia la sofferenza. Non l’ho mai provata nella vita”.
E, ancora, da molti altri: “Non ha importanza se uno non ha vissuto esperienze difficili o nulla di memoriabile. Ciò che fa la differenza è il modo in cui rielabori questo nella tua mente…”.
Chi mi parla così mi dà un grandissimo dolore. Perché se non hai un qualche oggetto (un evento, un’esperienza, una frattuta emotiva di qualche tipo) di riferimento, su che cose rielabori la tua storia, il tuo racconto, la tua memoria?
E’ come tessere una tela nell’aria, senza neppur un improvvisato telaio: non realizzerai mai un tessuto, ma solo un gomitolo di inestricabili nodi.
Non abbiamo più nessuna esperienza elementare nel nostro tipo di civiltà,
come fame, paura, o essere imprigionati, o sofferenza.
Ciò cui andiamo incontro è una profonda assenza di sofferenza
e questo è devastante per gli esseri umani” (W. Herzog)
Se Minerva ha deciso di raccontare storie è perché ella vede spesso che chi non ha vissuto pienamente la vita in prima persona – per caso o per codardia – è ancora ardente di desiderio di venirne esposto, almeno indirettamente.
Perché non avere storie da raccontare significa essere privo di una storia – e l’assenza di una propria storia rende la propria identità vuota, vaga, e indistinta da quelle altrui.
Minerva racconta storie con la speranza che queste smuovano chi le ascolti a cercare stimoli e occasioni per vivere in prima persona, da quel momento lì in poi, le proprie – e così realizzare finalmente la propria unica e distinta identità.
E se rimane inascoltata, torna a leggere Chatwin e Terzani – e poi mette uno zaino in spalla, e va alla ricerca di esperienze che diventino storie nuove da raccontare.
Per rammendare i buchi, e ricucire quei fili propri e altrui che si sono persi fuori dal tessuto – e sono diventati grovigli di nodi senza telaio. Con amore – con un infinito amore verso gli esseri umani.