Oro cash, televisione, e le popolazioni nomadi
29 Ottobre 2012
Ospite l’altro giorno d’una amica, sono stata esposta involontariamente a questo spot nel momento in cui ella ha acceso la televisione (che io non possiedo più, cone somma gioia, da una decina d’anni) e l’ho trovato agghiacciante!
Renato Pozzetto pubblicizza qui una società che acquista oro pagandolo in contanti, contanti con i quali egli compra all’istante un maxischemo televisivo.
Ora: sono solo io che mi sento a disagio davanti a questo spot?
Perché per me rappresenta la negazione di diversi livelli di senso.
1) Intanto identifica la felicità con l’acquisto d’un bene che può rappresentarne una componente solo per una mente ottenebrata dall’ignoranza, dalla stupidità o dalla frustrazione: va da sé che se sto bene e sono felice di mio, di un televisore non me ne faccio nulla.
2) La televisione può essere uno strumento di informazione e intrattenimento e/o informazione solo se usata in modo critico e consapevole, altrimenti è al pari di qualsiasi altra droga – ma ditemi voi, onestamente, quanti ne fanno un uso non sedativo di pensiero, azione e piacere! Ché non è mica un caso se nelle Sturmtruppen la televisione era “l’arma finale del doktor Goebbels”!
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3) L’oro, viene venduto, l’oro, dico! L’unica cosa che non si svaluta mai e che dovremmo tenere sino all’ultimo – quando non avremo più soldi per comprare il pane! Quella cosa che P. E. Baracus portava al collo perché non si fidava delle banche – e c’è una ragione per cui pirati, zingari, e le popolazioni nomadi (come i berberi) hanno denti, collane e gioielli d’oro…
4) Infine farei notare che pirati, zingari e nomadi in generale non girano con televisioni sulle spalle, ma carichi leggeri, e al limite strumenti musicali ed enciclopedica memoria cui attingere per intrattenersi in compagniaintorno al fuoco con usiche, canti, danze e soprattutto storie – orali (e non visive), in continuità (e non frammentate a mò di zapping) e di persona (e non a distanza né virtuali).
Ecco, io Pozzetto lo stimavo ben di più quando in teatro interpretava questo in una Milano d’antan che non era neanche ancora quella ‘da bere’!
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