Minerva che vuol far sorridere (e una vecchia signora che è più brava di lei nel riuscirci)
3 Settembre 2012
Un mio ex mi definisce una ‘graziosa provocatrice’, che entra in scena, tira il sasso, fa una piroetta su se stessa e velocemente s’allontana. Un altro mi chiama ‘piccolo tornado’, sostenendo che quando passo gli sconvolgo l’esistenza, lasciandogli l’abituale sentire per la vita nel più totale disordine.
Già sapete, poi, che mi definisco da sempre una ‘cialtrona’ – non a caso sono custode di questo termine nel progetto Adotta una parola.
Da sempre gioco, a ogni occasione, mirando a far ridere o almeno sorridere chiunque – sconosciuti inclusi. Ogni occasione è buona perché io interagisca col prossimo col solo fine di rendergli la vita più leggera.
Ed è così che mi invento scene e siparietti, che fingo di cadere come quasi inciampando in un filo invisibile nel momento in cui interrompo il mio passo sicuro per un semaforo divenuto rosso di colpo – provocando le risa degli automobilisti imbottigliati nel traffico in attesa di partire.
Oppure che mi metto a fare battute ad alta voce quando in coda all’ufficio postale, così da alleviare il peso dell’attesa per i cittadini e parimenti la noiosa ripetitività del lavoro negli impiegati.
E, quando mangio in trattoria o mi trovo al bancone d’un locale, cerco sempre di dire qualcosa di gentile al personale – qualcosa che ha a che fare con la comprensione della stanchezza del loro lavoro, o della tendenza dei clienti a chiedere spesso cose assurde forti del detto che “hanno sempre ragione”.
Funziona! Magari non sempre, ma spesso. E la gente sembra sollevata, per un istante!
Il qui presente folletto – che ha passato due mesi camminando allegramente per città bruciate dal sole indossando canottierina nera, gonnellina impalpabila nera e scarponcini di tela rosso-neri con le cuffie nelle orecchie che le sparavano a palla Manu Chao – s’è pure messa a ballare in metropolitana, rapita com’era dall’allegria e dalla musica, e si è fatta coccolare da tutti i vecchietti iberici ai quali chiedeva indicazioni in itagnolo, e che ringraziava con mega sorrisi da bimba scema (che poi quella è). Di quanti sorrisi ha goduto!!
E qui, la buona Minerva, tra i propri compagni d’avventura ne ha incontrato uno di pari sensibilità, che le ha raccontato la storia di una signora che la batte, e che per lei è diventata un modello cui ispirarsi per quegli ‘atti radicali di gentilezza‘ che davvero potrebbero essere sovversivi.
Il racconto è stato raccolto da un giovane paleontologo italiano in viaggio in autostop per la Spagna e che io ho incontrato a Cordoba. Costui, nel nord, ha conosciuto due autostoppisti che intrattengono come clow in ospedale i bambini (una pratica che sto verificando, con piacere, essere sempre più frequente) e costoro gli hanno raccontato la storia della nonnetta che ha deciso di dedicare il suo tempo ad alleviare la sofferenza dell’attesa e della preoccupazione di coloro che in ospedale attendono l’esito di qualche operazione grave a un loro famigliare.
La vecchietta – invero vedova da non molto – ha elaborato una tecnica che pare funzioni bene: si presenta nell’area di chirurgia dell’ospedale (dove ormai è conosciuta e apprezzata dal personale sanitario) e si guarda intorno, come a voler cercare un qualche altro reparto.
Arriva sempre carica di borse della spesa consunte straripanti frutta e altri alimenti con tendenza a rotolare, e qui mette in atto la sua piccola performance d’avvicinamento ai congiunti dell’operato.
In qualche modo finge che la borsa della spesa le cada, o le si strappi, facendo rotolare rovinosamente a terra gli alimenti. I parenti del malato, vedendo la sua età e la sua difficoltà deambulatoria, le vanno in aiuto, di qui lei ringrazia e – raccogliendo insieme le cose rotolate in giro e riponendole nella borsa – lentamente si presenta come moglie d’un degente in un altro reparto, arrivata in anticipo e quindi senza particolare fretta. Da cosa nasce cosa e da parola nasce parola.
Piano piano la vecchietta riesce a conquistarsi la simpatia e la disponibilità a parlare di sé e delle proprie preoccupazioni da parte altrui, e qui ascolta, rincuora, esorta, racconta (quest’ultima cosa poco) a sua volta. Poi, per lo più a operazione conclusa, se ne va come è venuta.
A me è sembrata una bella cosa, specie perché resa così teatrale e personale perde quella dimensione da volontariato sociale istituzionalizzato che spesso si ravvisa in questi contesti, e rende il tutto molto spontaneo e immediato.
E voi, siete a conoscenza di storie simili? Me le raccontate?
Buona giornata e buona settimana (magari godendo e promuovendo atti di gentilezza, ché questa può migliorare le cose, mentre la violenza richiederà sempre azioni compensatrici)!